TFR – Trattamento di Fine Rapporto o Liquidazione
Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR), comunemente noto come “liquidazione”, è una componente fondamentale del rapporto di lavoro subordinato, disciplinata dall’art. 2120 del Codice Civile.
Il TFR è una somma che il datore di lavoro deve corrispondere al lavoratore subordinato al momento della cessazione del rapporto di lavoro, indipendentemente dalla causa (dimissioni, licenziamento, scadenza del contratto a termine, pensionamento).
La giurisprudenza maggioritaria e la dottrina prevalente sono concordi nell’inquadrare il Trattamento di Fine Rapporto come una retribuzione differita, con funzione prevalentemente retributiva, e non assistenziale o previdenziale.
Secondo la giurisprudenza consolidata il TFR “non ha natura assistenziale o previdenziale, ma costituisce una componente della retribuzione che matura con la continuità del rapporto di lavoro e viene corrisposta al momento della sua cessazione”.
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❖ Caratteristiche qualificanti del TFR
È una Retribuzione differita: il TFR matura proporzionalmente al servizio prestato ed è accantonato annualmente. Non è legato a un evento specifico, come malattia o infortunio (tipici dell’assistenza o previdenza), ma alla mera durata del rapporto. La giurisprudenza ha escluso la sua natura di assistenza e di previdenza: non è collegato a uno stato di bisogno, né a un sistema contributivo pubblico. Non è legato all’età, all’invalidità o ad altri presupposti soggettivi. Quindi, non è una prestazione previdenziale: sebbene dal 2007 possa essere destinato alla previdenza complementare, la sua origine e natura rimangono retributive, anche quando confluisce in un fondo pensione. Non è un credito contributivo: il TFR non è soggetto a versamenti contributivi previdenziali ordinari, ma solo ad un contributo dello 0,50% al Fondo di Tesoreria INPS o ai fondi pensione, se il lavoratore ha optato in tal senso.
Il Diritto al TFR nella Separazione e nel Divorzio
❖ Funzione economico-sociale del TFR
La Corte Costituzionale ha più volte sottolineato il rilievo costituzionale del TFR come mezzo di sostegno economico in un momento delicato della vita lavorativa: la sua cessazione. In Corte Cost. n. 90/1982 si legge che il TFR: “è diretto ad assicurare al lavoratore una somma che costituisce un utile supporto economico in occasione della cessazione del rapporto”. Questa visione conferisce al TFR una funzione sociale, ma ciò non ne muta la natura giuridica, che rimane retributiva.
Quindi, è una forma di compenso maturato nel tempo, destinato a essere fruito solo alla fine del rapporto, e per questo assimilabile ad una “retribuzione posticipata” che trova tutela tanto nei contratti collettivi quanto nell’art. 36 Cost., che garantisce il diritto a una retribuzione proporzionata e sufficiente.
❖ A chi spetta il TFR?
Il diritto al Trattamento di Fine Rapporto spetta a tutti i lavoratori subordinati del settore privato, indipendentemente dalla tipologia del contratto. Ne beneficiano, dunque, sia i lavoratori assunti a tempo indeterminato che quelli con contratto a termine, così come i part-time e i full-time. Non fa differenza neppure la qualifica: il TFR matura per operai, impiegati, dirigenti, e anche per gli apprendisti.
Non ne hanno invece diritto coloro che non rientrano nell’ambito del lavoro subordinato. È il caso, ad esempio, dei lavoratori autonomi, dei collaboratori coordinati e continuativi (co.co.co), dei professionisti titolari di partita IVA e, in linea generale, dei soci lavoratori di cooperative, a meno che non abbiano instaurato con la cooperativa stessa un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato, in tal caso riconosciuto come tale anche ai fini del TFR.
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❖ Come si calcola il TFR
Il calcolo del TFR segue una regola precisa stabilita dall’articolo 2120 del Codice Civile, ma può essere spiegato con semplicità. Ogni anno, il datore di lavoro accantona per ciascun dipendente una quota pari alla retribuzione annua lorda divisa per 13,5. Si tratta quindi di una piccola parte della retribuzione che viene messa da parte annualmente, come una sorta di risparmio obbligatorio.
Ma non finisce qui: la somma accantonata non resta ferma nel tempo. Viene infatti rivalutata ogni anno, per preservarne il valore reale rispetto all’inflazione. Questa rivalutazione avviene applicando due parametri: un tasso fisso dell’1,5% e un ulteriore 75% dell’aumento dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI). In questo modo, il TFR segue l’andamento del costo della vita, garantendo al lavoratore una cifra che, al momento della cessazione del rapporto, sia ancora attuale e significativa.
In alcuni casi, sulla quota accantonata si applica una trattenuta pari allo 0,5%, destinata al Fondo di Tesoreria INPS o al fondo pensione, se il lavoratore ha scelto di aderirvi.
❖ Anticipazione del TFR
Durante il rapporto di lavoro, il lavoratore può richiedere un’anticipazione fino al 70% del TFR maturato, per:
- spese sanitarie straordinarie;
- acquisto o ristrutturazione della prima casa;
- con almeno 8 anni di anzianità aziendale.
Il datore di lavoro ha però la facoltà di limitare le anticipazioni annuali al 10% degli aventi diritto e al 4% del totale dei dipendenti, salvo condizioni contrattuali migliorative.
❖ Quando deve essere pagato il TFR?
Il TFR deve essere corrisposto al momento della cessazione del rapporto di lavoro, salvo tempi tecnici di elaborazione. La legge non fissa un termine perentorio, ma la giurisprudenza ha individuato un termine congruo (quasi sempre solo teorico) in 30 giorni dalla cessazione del rapporto.
In caso di ritardo ingiustificato, sono dovuti:
- interessi legali;
- rivalutazione monetaria.
❖ Prescrizione del TFR
Come ogni diritto patrimoniale, anche il diritto del lavoratore a ottenere il Trattamento di Fine Rapporto non è eterno: se non esercitato per tempo, può andare perso. La legge, infatti, stabilisce un termine preciso entro il quale il lavoratore deve far valere la propria pretesa.
In particolare, il diritto al TFR si prescrive in cinque anni, ai sensi dell’art. 2948, n. 5 del Codice Civile. Questo termine inizia a decorrere dal momento in cui il rapporto di lavoro si estingue, ossia dalla data effettiva di cessazione del contratto – sia per dimissioni, licenziamento, pensionamento o scadenza del termine.
Se il lavoratore non agisce entro questo termine, perde definitivamente il diritto a pretendere il pagamento del TFR, anche se effettivamente maturato.
Tuttavia, esistono strumenti giuridici per interrompere la prescrizione e far “ripartire il conteggio da zero”. Tra i più utilizzati vi sono:
- La messa in mora scritta: si tratta di una comunicazione formale (preferibilmente inviata via PEC o raccomandata A/R) con cui il lavoratore intima al datore di lavoro il pagamento del TFR entro un termine perentorio. Questa diffida interrompe la prescrizione.
- Il riconoscimento del debito da parte del datore di lavoro: ad esempio, quando l’azienda dichiara per iscritto di dover ancora saldare il TFR, o propone un piano di pagamento rateale. Anche questo fa scattare un nuovo termine di cinque anni.
- La proposizione di una domanda giudiziale: l’avvio di un giudizio dinanzi al tribunale del lavoro (sia con ricorso ordinario che con decreto ingiuntivo) interrompe la prescrizione in modo definitivo, almeno fino alla conclusione del processo.
È dunque fondamentale che il lavoratore agisca con tempestività, soprattutto quando vi è il rischio che il datore non intenda adempiere spontaneamente. Anche un semplice sollecito scritto, se ben formulato, può fare la differenza tra l’esercitare un diritto o vederlo estinguersi.
❖ Cosa fare se il TFR non viene pagato
Quando il TFR non viene corrisposto spontaneamente dal datore di lavoro alla cessazione del rapporto, il lavoratore ha a disposizione diversi strumenti legali per tutelare il proprio diritto e ottenere quanto gli spetta.
Il primo passo, solitamente, consiste nell’invio di una diffida stragiudiziale. Si tratta di una comunicazione scritta, trasmessa via PEC o raccomandata con ricevuta di ritorno, con la quale il lavoratore o il suo legale formula una richiesta formale di pagamento del TFR entro un termine preciso e perentorio. Questo atto ha valore legale e, oltre a interrompere la prescrizione, può spingere il datore ad adempiere spontaneamente, evitando ulteriori conseguenze.
In alcuni casi, previsti dal D.lgs. 276/2003, è necessario tentare un procedimento di conciliazione extragiudiziale, ovvero un incontro tra le parti assistite dalle rispettive organizzazioni sindacali o da un legale, volto a trovare un accordo senza ricorrere al giudice. Questo passaggio è obbligatorio solo per determinate tipologie di controversie, ma resta comunque uno strumento utile per risolvere la questione in tempi rapidi e con costi contenuti.
Se la conciliazione non ha esito positivo – oppure non è prevista nel caso concreto – il lavoratore può rivolgersi al Tribunale del lavoro, presentando un ricorso per decreto ingiuntivo (quando il credito è certo, liquido ed esigibile) oppure avviando un giudizio ordinario per l’accertamento del diritto al TFR.
Infine, qualora il giudice riconosca il credito e condanni il datore di lavoro al pagamento, ma quest’ultimo continui a non adempiere, il lavoratore potrà procedere con l’esecuzione forzata. Ciò significa che, tramite l’ufficiale giudiziario, si potrà agire con il pignoramento dei beni aziendali o dei crediti che il datore vanta verso terzi, al fine di soddisfare coattivamente il proprio credito.
Cosa succede se l’azienda fallisce
In caso di fallimento del datore di lavoro, il TFR rientra tra i crediti privilegiati ai sensi dell’art. 2751-bis n. 1 c.c., ma spesso i tempi di soddisfazione sono molto lunghi.
Per questo è prevista la tutela del:
Fondo di garanzia INPS (ex art. 2 L. 297/1982)
Il lavoratore può ottenere il TFR (e le ultime tre mensilità di retribuzione) direttamente dall’INPS, a condizione che:
- sia stato dichiarato il fallimento o l’insolvenza dell’azienda;
- il credito sia stato ammesso allo stato passivo;
- sia impossibile soddisfarsi sul patrimonio aziendale.
La domanda al Fondo può essere presentata anche online, tramite patronato o professionista abilitato.
TFR e previdenza complementare
Dal 2007, i lavoratori del settore privato possono destinare il TFR:
- a un fondo pensione negoziale o aperto;
- oppure lasciarlo in azienda.
La scelta ha effetti rilevanti anche in termini fiscali e previdenziali. È bene valutarla con attenzione, anche con l’assistenza di un consulente legale o finanziario.
Il TFR rappresenta un diritto fondamentale del lavoratore, tutelato dalla Costituzione e dal Codice Civile. In caso di mancato pagamento o crisi aziendale, è possibile attivare strumenti legali efficaci per il recupero del credito.
Il nostro studio legale assiste lavoratori e aziende in tutte le questioni attinenti al TFR, dalla consulenza preventiva alla tutela giudiziaria, fino alla presentazione delle domande al Fondo di garanzia INPS.
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